[…] Perché il bene a venire del mondo dipende in parte da azioni di portata non storica; e se le cose, per voi e per me, non vanno così male come sarebbe stato possibile, lo dobbiamo in parte a tutti quelli che vissero con fede una vita nascosta e riposano in tombe che nessuno visita
G. Eliot, Middlemarch

venerdì 2 settembre 2011

Marco Moroni, Rettore Titolato di S. Alessandro in Colonna, come vicario di Federico Cornaro, 1571

“Lunedì 21 maggio del suddetto anno [1571] (attraverso il vicario Marco Moroni) fu effettuata la visita in luogo di Clusone il predetto Reverendo Monsignore visitatore all’ora ventesima del predetto giorno andandosene dal detto luogo calvalcò al luogo di Piario [“Pierii” nell’originale] ed entrato nella Chiesa Parrocchiale di S. Antonio Abate vide quella mancante di un curato né contenente il SS. […] vide il crisma […] anche il fonte del Battistero senza coperchio […]. Vide quindi tre calici e corporali e purificatori tutto in uno stato pietoso e tutto consegnò al presbitero Marco Bonicelli per lavarli. Vide anche i paramenti e tutte le cose simili immondi e ordinò di lavarli. Poi ordinò al sindaco che tutti i cittadini andassero a Villa d’Ogna il giorno successivo per rispondere su quanto fossero interrogati. Poi ordinò che la chiesa fosse tenuta chiusa nei giorni feriali tranne al mattino per due ore affinché in quella i fedeli potessero accedere per pregare.
Il giorno suddetto fu chiamato al cospetto del Reverendo Monsignore un tale Antonio Giovanni de Giordani sacrestano della chiesa parrocchiale di Sant’Antonio, uomo di sessant’anni d’età. Sotto giuramento, rispose: “La prefata nostra chiesa […] et al presente non vi hanno curato alcuno ma hanno accordato frate Cornaro del monastero di Clusone et mi ha servito da qui indrio et hora è andato a cap[...] et l’aspettiamo”. Interrogato risponde: “Non havemo al presente il SS. Sacramento in detta nostra chiesa per non essergli curato ma siamo ben soliti tenerglielo”. Interrogato risponde: “Non vi è la scuola del SS. Sacramento ma ben vi è la scuola della Madonna. Item alcuni homini di quel luogo che praticano a Venetia a divotione dell’altare di S. Cristoforo fanno una confraternità là in Venetia et solevano far qualche bene ma adesso non vi si fa bene alcuno et è redutta in mano forsi di sette o otto homini che stanno in Venetia et hanno danaro nelle mani di c[irca] 60 in 70 ducati de quali essi si se ne servono et qui hanno terreni de quali ricavano da L. 90 de fitto et non danno soccorso alcuno alla nostra chiesa et era solito dargli ognuno L. 15 et agiustavano a mantener della cera et olio per ornamento di quel altare di S. Cristoforo et sarà bene astringerli a servar il solito”. Interrogato rispose: “Detta misericordia non ha altra intratta et quando non havemo curato si dispensa detta intratta in tanto sale et farina generalmente a tutti”. Interrogato rispose: “I legati che sono fatti alla detta misericordia diamo ai poveri di Pierio, ma tutti siamo poveri”. Interrogato rispose: “Le anime che sono sotto detta cura possono essere da circa 160. De quali ve ne possono essere da comunione 100”. Interrogato rispose che “non so che ve ne siano alcuni quali non siano confessati et comunicati in questa Pasqua”. Interrogato rispose: “Mancho so che vi siano alcuni concubinarii né usurai, bestemmiatori né giocatori pubblici né altre persone scandalose”. […] Su altre cose interrogato rispose rettamente. Interrogato rispose: “Un Alessandro Legrenzi che habitava in Venetia nel suo testamento fece un legato di lire due d’olio per ogni lampada delle scuole poste nella detta gesa di S. Ant[onio] ogni anno in perpetuo. Item Marc’Antonio suo figliolo et herede non vuole dare se non lire due d’olio per la lampada della scola della Madonna e dice di non voler darlo per la scola de S. Cristofero perché essi la fanno a Venetia non però gli hanno altare alcuno et sono anni quindici che dovria aver pagato”.
Martedì 22 dello stesso suddetto mese nella chiesa di Villa Alessandrino Bertulini Contini de Legrenzi di Pierio uomo d’età di 60 anni circa sotto giuramento interrogato rispose: “La nostra chiesa di S. Ant[onio] di Pier ha intrata di circa L. 50 in 55”. Interrogato rispose: “Anco la misericordia di detto loco ha intrata c[irca] L. 50 quali tutti li demo nel salario al curato che mi serve et quello mancha lo paghemo delle borse nostre di noi vicini, che havemo accordato un di frati di Clusone et gli diamo L. 204 all’ano ma al presente non vi è che a questi di passati anche a […]. Interrogato rispose: “Sotto la cura di Pierio vi sono anima c[irca] 184 de quali vi possono essere da comunione forsi 90”. Interrogato rispose: “Io non vi conosco alcuni quali non siano confessati et comunicati”. Interrogato rispose: “Io non vi conosco alcuno suspetto di heresia né concubinarii overo usuraii né giocatori e bestemmiatori publici, salvo – disse – un mio figliolo Giova. Maria a questi di passati mi portò via un panno qual mi era stado dato da filare ch’io son filatore et l’ha venduto per gioco ad Albertino de Perulì da Vila et ha giocato i danari… ha giocato una parte di panno con detto Albertino”. Interrogato rispose: “Non vi so dire altra cosa scandalosa o che meriti castigo o corretione…”.
All’inizio si cita il vicario Marco Moroni, rettore titolato di Sant’Alessandro in Colonna che fece la visita per conto del Vescovo Cornaro. Gian Marco Bonicelli , citato appena sotto, probabilmente è il futuro arciprete di Clusone. Morto il 26 giugno 1588 Michele da Fino, Gian Marco Bonicelli ebbe l’arciprebenda. Era di illustre famiglia clusonese e alcune lapidi ne ricordano la memoria. Morì nel 1592.
La prima parte della visita è quella dell’ispezione: il visitatore deve accuratamente verificare lo stato di conservazione della Chiesa e dei suoi accessori. Purtroppo, Mons. Moroni trovò quella di Piario in pessimo stato: il Battistero senza coperchio, la Chiesa senza curato, l’altare senza SS. e tutti gli oggetti liturgici immondi e da lavare. La seconda parte della visita pastorale è l’interrogatorio. Monsignore convoca la cittadinanza il giorno dopo a Villa d’Ogna. Il verbale continua col descrivere i colloqui avvenuti nel giorno fissato.
Nel colloquio di Antonio Giovanni de Giordani sentiamo citato il monastero di Clusone, quello che un tempo era collocato nell’attuale stabile di Piazza Martiri della Libertà. Il sacrestano continua confermando quanto già irrimediabilente constatato dal visitatore: la mancanza di un curato. Il frate col quale avevano stretto un accordo è partito per una destinazione che non ci è dato conoscere a causa della corruzione del testo. Il sacrestano conferma la mancanza del SS. e della confraternita a lui dedicata. Però c’è , dice, la Scuola della Madonna. Segue una cosa importante: la presenza di piariesi a Venezia. Si parla di sette o otto uomini i quali avevano il compito di mantenere l’altare di San Cristoforo nella nostra chiesa. Il sacrestano lamenta il mancato pagamento della quota e chiede che vengano costretti (“et sarà bene astringerli”) a mantenere la parola data.
La parte economica è abbastanza interessante: la Chiesa riscuoteva un affitto per i suoi terreni di 50 lire e 60 ne ricavava dalla Misericordia. In tutto fanno 110 lire. Le quali andavano a formare il salario del curato (che, vedremo, in realtà era più alto e non a caso il sacrestano dice “quello che mancha lo paghamo di nostra borsa”). Quando il curato non c’era, come in questo caso, i soldi venivano spartiti fra i poveri del paese. È di un toccante e commovente realismo la dichiarazione dell’uomo: “Ma tutti siamo poveri”. Le sue vanno perfettamente d’accordo con quelle di Alessandrino Contini Legrenzi, il quale dichiara un entrata per la Chiesa di lire 50 o 55 e per la Misericordia di lire 50. La somma dà 105 lire. Ci informa anche che il curato è pagato ben 204 lire all’anno, il che vuol dire che i cittadini dovevano sborsare la somma di 99 lire (o 94 a seconda della versione) di tasca loro. Contando che, sempre secondo le loro dichiarazioni, gli abitanti del 1571 erano dai 160 ai 184 e contando una famiglia media di 6 componenti almeno, risulta qualcosa meno di trenta famiglie. Ogni famiglia doveva sborsare circa 3 lire all’anno.
Dalla dichiarazione del secondo intervistato vediamo confermate le teorie che vedevano a Piario un’intensa attività d’artigianato tessile. Dichiara infatti: “Io son filatore”. Questa attività è molto radicata a Piario, e il più antico documento scritto trovato a Piario, datato 1516, conferma questo esercizio e la sua intensità. Interessante anche la denuncia del giocatore d’azzardo che ha rubato il telo per avere i denari per sfogare il suo vizio.
Per ricavare il maggior numero possibile di informazioni, proviamo a confrontare questa relazione con le pagine di un piccolo codice manoscritto la cui composizione ricopre, più o meno, tutto il secolo XVI. Alla data del 1571 troviamo scritto che era stato consegnato “un brozo de legnia” (che ricalca perfettamente il dialetto “ü bròc de legna”) dal valore di 2 lire e 10 centesimi e che altra legna e varie cose erano state pagate 5 lire e 12 centesimi. Per capirne di più confrontiamo con pagina 8 di detto codice dove si dice che, nel 1569, pre Paolo riceveva “liri ducento di moneta di B[er]gamo, et sei brozi et quattro cavali di legna” come compenso per “servir incelebrar messa et altri diurni sacramenti et di exercitar la cura delli animi nella terra de Pierio fidelme[n]te como si conviene ad uno vero pastore”. Quindi, cosa che non risulta dalla relazione, il curato era pagato anche con prodotti naturali, come la legna.
A pagina 48 dello stesso codice, sotto la data 30 novembre 1571 veniamo a conoscenza del fatto che un tale Cristoforo Legranzi “si obliga a schoder li fitti de la visinanza di doij ani quale son liri ttresento vinttiuna soldi diezi dinari nove zioué L 321.10.9 quali dinar son di lano 1571 e 1572 e si obliga a schoder li ditti dinar e pagar el fratte di mese in mes” e, inoltre, “Cumpitto li seij mesi sarà ttinutto a sborsa li ditti dinari ali sindizi dela visinanza quali sindizi si sarà alora fatti el quale sopra scritto Christtofeno si obliga a schoder si ditti dinari senza premio niuno e Maestro Peder frattelo del sopra schrito gi fa la segurttà per la sopra ditta suma”.
L’anno dopo, esattamente il 30 novembre 1572, veniamo a sapere che il nostro Antonio de Giordani, sacrestano, ha fatto un passo avanti nella scala sociale di Piario: “El se di gara [ = dichiara] per la presente polica [“polizza”, cioè documento] como son stado lezeto [eletti] Ser Antonio del q. Zouani de Iordà en Ser Usascho fidi de Ser Bertolani ditto Bortolo per sindici dela vesinanza per pier da chuder li fiti”.

Apparso su L'Eco del Sapél Nè, Maggio 2002

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