[…] Perché il bene a venire del mondo dipende in parte da azioni di portata non storica; e se le cose, per voi e per me, non vanno così male come sarebbe stato possibile, lo dobbiamo in parte a tutti quelli che vissero con fede una vita nascosta e riposano in tombe che nessuno visita
G. Eliot, Middlemarch

martedì 16 agosto 2011

Altare Maggiore

Le riforme promosse dal Concilio Vaticano II (1962-1965) affiancarono e sostituirono ai vecchi altari la mensa comunitara, che di fatto declassò il vecchio altare a "cassaforte" per il Santissimo, con l'applicazione di una nuova denominazione, "custoria dell'Eucaristia", e facendo slittare il termine "altare" alla mensa. Sulla questione molto si è discusso e il provvedimento a molti pare ancora discutibile, in quanto "il mio parroco […] durante la messa gira il culo a Dio nel momento più sacro", così almeno si esprimeva Francesco Messina nel 1980 con la sua Preghiera del giovane patriota. Non è il caso di soffermarci in questa sede sull'opportunità della riforma: preferiamo occuparci della storia, plurisecolare, dell'altare e della sovrastante tribuna, dalla data approssimativa della sua esecuzione fino allo stato attuale attraverso i vari rimaneggiamenti.
In primo luogo, ipotizzeremo qualcosa riguardo al precedente altare e ci occuperemo dei contratti, dei costi e degli artigiani che lavorarono all'erezione dell'attuale. Poi tratteremo dei lavori di modifica effettuati attorno al 1925, che intaccarono gravemente la struttura originale, alterandone l'armonia. Infine, una volta spogliata dei rimaneggiamenti successivi, descriveremo nei particolari la struttura dell'altare e della tribuna: a questo scopo si è pensato di fare una ricostruzione virtuale di come doveva essere l'originale tribuna, affiancandola all'attuale.
Altare Maggiore o Altare della Vicinia: così era chiamato l'altare principale all'interno della Chiesa Parrocchiale. Situato nel presbiterio, anticamente chiuso da una cancellata, era il centro della Chiesa, mentre gli altri altari occupavano posizioni meno predominanti, erano dedicati al culto dei Santi o della Madonna ed erano amministrati dalle relative confraternite. A questo altare era tenuto a celebrare il Parroco titolare, che per sacrificare ad altri altari doveva ricevere esplicita richiesta ["[Il curato]sia ob[b]ligato a venire a dire messe che han[n]o di obligo la sc[u]ola di S. Iosepo, a dirle al suo altare e a venire di sotto dalla ferada. Li darà detta sc[u]ola lire quat[t]ro alano (all'anno)", Capitoli del Parroco Perolini, 1670]. Sappiamo con precisione che le rendite dell'altare erano amministrate dalla Scuola del SS. Sacramento (fondata tra il 1590 e il 1594) per le spese di culto (cera, olio, vino, ostie, paramenti), mentre la Vicinia amministrava i beni immobili per la fabbrica della Chiesa e il mantenimento del curato.
Prima di trattare riguardo all'attuale, cerchiamo di capire come poteva essere il precedente altare, tramite le scarne informazioni fornite dalle relazioni per le Sacre Visite Pastorali. La prima menzione risale al 1575, con la visita del delegato del card. Carlo Borromeo: "Ci si procuri un altro tabernacolo, più decente. […] L'altare maggiore sia allestito e ornato nella forma stabilita; la mensa indecente posta nell'altare sia rifatta". Si prosegue così con una carrellata di decreti o semplici descrizioni: "Si foderi il tabernacolo di legno per il SS.mo Sacramento di panno di setta (sic) rossa" (Regazzoni, 1578); "Si accomodi l'altar maggiore con la malta coprendolo con la tela incerata. Si faccia dorare il tabernacolo" (Milani, 1594); "Il tabernacolo del Ss.mo Sacramento sopra l'altare si faccia adornare conformemente alla visita passata in termine di sei mesi sotto la pena dell'interdetto. Si provveda una crocetta con il crocifisso davanti per tenerla sull'altare maggiore davanti al tabernacolo" (Milani, 1601); "S'inalzi il crocifisso sichè (sic) non occupi il coro" (Emo, 1613); "L'altar maggiore ha bisogno d'esser ritirato alquanto indietro e la bradella [predella] d'esser alquanto ingrandita" (Cornelio, 1624); "Visitò l'altare maggiore: portatile, costruito nella giusta forma e della misura prescritta. Sia rinorata la chiave del tabernacolo… sia foderato di nuovo il tabernacolo di drappo di seta di color cremese in termine d'un mese. […] Ha esortato la pietà di q(uest)o popolo a proveder di quei pagli [paliotti] che sono bisognosi agli altari trovandosi di essi molto sprovvisti" (Grimani, 1649); "La croce, che è nella parte superiore del tabernacolo, sia tolta e sia posta a metà del tabernacolo" (Giustiniani, 1666); "La pisside è per vero custodita nell'altare maggiore in un tabernacolo ligneo scolpito con maestria e dorato e internamente rivestito di seta… […]. Terminata la messa, l'Ill.mo e Rev.mo Vescovo visitò l'altar maggiore, riguardo al quale decretò come sotto. Abbia la pietra sacra i due gradini superiori scolpiti nel legno e dorati altrettanto che gli inferiori" (Ruzini, 1700); "Il primo è l'altare maggiore nel quale vi è solamente la pietra portatile" (Priuli, 1726).
Cerchiamo dunque di ricavare alcune notizie, partendo dal presupposto che dal 1575 al 1726 si sia parlato dello stesso altare, dato che non v'è traccia, nei documenti, di un cambiamento. È assai probabile che l'altare fosse un parallelepipedo di legno, rinforzato in muratura, di una grandezza approssimativa all'attuale (si badi bene, altare, e non tribuna, che è l'ampia struttura posta al di sopra). La mensa, di legno, era la tavola di legno che ricopriva il piano del sacrificio, al di sotto del quale vi era la pietra sacra - portatile – coperta da una tela cerata e dalle tovaglie. Più scostato rispetto al piano della mensa doveva erigersi il tabernacolo, una semplice cassetta di legno, decorata in vari modi, dorata e all'interno ricoperta di un panno di seta rossa. Ai lati del tabernacolo vi erano sei candelabri e al centro, di fronte alla porta del tabernacolo, una croce. Sul lato frontale del "parallelepipedo" dell'altare era posizionato il paliotto, un drappo di stoffa colorata (a seconda del tempo liturgico) fissato su un'intelaiatura di legno, e, pertanto, intercambiabile secondo il calendario.


Ricostruzione ipotetica del primitivo altare (XVI – XVII sec.)
LEGENDA:
1. altare
2. paliotto
3. predella
4. mensa
5. pietra sacra
6. tabernacolo
7. crocefisso
8. candelabri

La struttura era dunque assai semplice e ben poco si adattava all'immagine che la chiesa aveva assunto dopo i restauri del 1670 e gli ampliamenti e decorazioni del 1775. Urgeva dunque edificare un altare che si armonizzasse con il nuovo gusto barocco della Chiesa e fosse più consono ad una comunità che esigeva maggiore sfarzo nelle cose sacre.
Ancora una volta, per condurre una ricerca su un monumento all'interno della Chiesa si può ricorrere ad un registro di estremo interesse, in quanto annota tutte le assemblee di capifamiglia convocate per prendere grandi decisioni. Anche l'acquisto di un nuovo altare era una impresa non da poco e il verbale dell'assemblea che ne decise l'erezione è registrato attraverso le formule consuete.
"Adi 8 aprile 1781 Piario. Radunati li capi di casa nella sagrestia per fare il consilio Per comprare un Altare sia lalatre Magiore e statto Messo A voti sono statti dispensati voti N. 21 racolti N. 17 favorevoli di Baratarlo N. 4 de no Per questo Resta Acordato il deto Alatre.
Adi 9 detto giovan zucchelli il signor giacomo giudici Ambidue sindisi Anno cordato il detto Altare con il signor inazio trusardi detto lo indoratori et questo sono dacordio £ 115 tale quale stava e di dare laltro Altare in agionta di detto Altare. Io giovan zucchelli sindico".
Per quanto l'italiano usato non sia troppo lontano dal nostro, riporterò un adattamento, dato che l'ortografia è alquanto imprecisa: "Il giorno 8 aprile 1781, Piario. Radunati i capifamiglia in sagrestia per tenere un'assemblea per comprare un altare ossia l'Altar Maggiore: è stato messo ai voti e sono state dispensati numero 21 voti (= palline), raccolti 17 favorevoli all'acquisto e 4 no, perciò resta accordato [di acquistare] il detto altare. Il giorno 9 detto Giovanni Zucchelli e Sig. Giacomo Giudici entrambi sindaci hanno concordato il detto altare con il Sig. Ignazio Trussardi detto l'indoratore e perciò sono d'accordo £ 115 nello stato in cui fu visto e di consegnare il vecchio altare in aggiunta a detto altare. Io Giovanni Zucchelli sindaci".



Sempre in archivio si conserva un ulteriore documento a riguardo dell'altare maggiore: è il libro contabile.
"Adi 10 lulglio 1781 […] per tanti pagati a Ignassio Trusardi indoratore per laltare di S. Antonio per boleta 43:5" ("Il giorno 10 luglio 1781, per tanto pagato a Ignazio Trussardi indoratore per l'altare di Sant'Antonio per bolletta [£] 43 e 5"). E ancora: "Adi 28 Maggio 1782 Piario […] pagato al signor inasio indoratore di clusone per laltare della visinia come da Risiputa £ 73" ("Il giorno 28 maggio 1782, Piario. Pagato al Signor Ignazio indoratore di Clusone per l'altare della vicinia, come de ricevuta £ 73").
Nei tre testi il nome dell'altare oscilla fra Altare Maggiore, Altare della Vicinia e Altare di Sant'Antonio [Abate], col nome del Santo titolare della Chiesa. Si noterà che, con la cifra pagata al saldo il giorno 28 maggio, il prezzo è leggermente più alto di quello preventivato: 116 lire e 5 contro le 115 secondo l'accordo del 1781. Riguardo alle date, bisogna notare che l'assemblea delibera l'otto aprile 1781, il primo pagamento è effettuato dopo tre mesi, il 10 luglio 1781, e il saldo quasi un anno dopo.
Il Sig. Ignazio Trussardi era una vecchia conoscenza della Vicinia di Piario, in quanto nel 1775 era stato incaricato da Grazioso Fantoni il Giovane di Rovetta di applicare la foglia d'oro ad alcune parti dell'altare della Madonna del Rosario che egli stesso aveva scolpito nel legno ["Memoria dell'accordio fatto col Sig. Ignazio Trussardi di Clusone Doratore di dorare tutti li capitelli, e basi ornati, fogliami et altri ornamenti che sono sopra l'anconetta et Altare della B V del Rosario di Piario come bene siamo intesi il tutto darlo perfettamente dorato a oro di zecchino e questo per il prezzo di lire cento sessanta dico £ 160. In fede Grazioso Fantoni accetto. Io afermo come sopra Io Ignazzio Trusardi Indoratore Clusone" (Archivio Fondazione Fantoni, Piro 5, 715)]. La funzione del Trussardi si identifica dunque molto chiaramente con quella di indoratore, ma non di scultore. Eppure l'Altar Maggiore viene esplicitamente acquistato e non fatto indorare. È dunque più corretta la ridefinizione della mansione del Trussardi come indoratore e venditore. Tant'è vero che rileva il vecchio altare: "di consegnare il vecchio altare in aggiunta a detto altare", cui magari avrebbe dato un rimaneggiamento per un'ulteriore messa in commercio. Né i documenti d'archivio, né esplicite epigrafi sull'altare ci dicono chi sia l'autore della straordinaria opera. Tuttavia, gli esperti della Curia Vescovile di Bergamo che hanno catalogato l'opera la attribuiscono senza ombra di dubbio alla Bottega dei Piccini da Nona, in Valle di Scalve. Nella descrizione dell'altare, essi scrivono: "Il tabernacolo a tempietto venne acquistato intorno al 1760 dall'intagliatore Ignazio Trussardi di Clusone", affermazione errata per la data e per la terminologia (cosa si intende per tabernacolo, che pure essi stessi schedano come opera della Bottega dei Piccini? la tribuna?). Sempre secondo la catalogazione della Curia, l'opera venne eseguita in un arco temporale piuttosto ristretto, fra il 1690 e il 1710. Ma venne acquistato solo nel 1781. Con tutta probabilità, nella bottega del Trussardi era rimasto, invenduto, un altare, che venne acquistato dalla Vicinia di Piario solo 70/90 anni dopo la sua realizzazione. Oppure da Trussardi la Vicinia acquistò una parte dell'altare o della tribuna, che venne integrato nella preesistente architettura d'inizio secolo. Ma le carte d'archivio non ci danno alcuna informazione riguardo ad un acquisto così impegnativo in questo senso prima del 1781.
Delle modifiche effettuate nel 1925, sappiamo che furono realizzate dagli Artigianelli di Monza su disegno degli architetti Luigi Angelini e Fermo Taragni. La notizia è confermata da un cartellino incollato su una delle tante statuette che adornano l'altare. Vi si legge: "ARTIGIANELLI / MONZA / DECORATORI / 1925". Un'altra evidenza è di tipo strutturale. È facile accorgersi che il tabernacolo è moderno: realizzato da Attilio Nani nel 1935 in lamina di ottone sbalzata e argentata, l'opera è firmata (in basso a destra "A. Nani"). Nello sportello in alto si legge l'iscrizione a rilievo:" IN . DEI . CONSORTIUM . / TRANSIMUS ". Il cambianto strutturale è ravvisabile grazie alla conservazione dell'antico tabernacolo ancora intatto. Tale situazione i permette di capire che, con tutta probabilità, il lavoro effettuato è stato semplicemente di innalzamento della tribuna di quattro piani, in modo da incastrare il nuovo tabernacolo. Data la mancanza di altre notizie, non si spiega come il tabernacolo venga datato al 1935 e l'intervento di restauro al 1925.
Per meglio chiarire l'entità dell'intervento, anche a chi non ha la possibilità di vedere l'altare, mostriamo una fotografia dello stesso nello stato attuale e una elaborazione grafica di come doveva essere prima dell'intervento, più basso di quattro piani e con l'antico tabernacolo in legno. Il fastigio, oggi sul nuovo tabernacolo, è probabilmente originale, e nella ricostruzione è stato riassegnato al vecchio.
Nella parte di destra si vede chiaramente come la tribuna dovesse originariamente risultare più sobria e "tarchiata". Tale originale posizione doveva risultare più armoniosa e, soprattutto, offriva il vantaggio di vedere la pala d'altare collocata nell'abside dietro. Purtroppo, la fotografia è stata scattata con il padiglione d'altare montato e non ci è consentito di vedere il risultato.
Prendendo in considerazione l'altare originale, ossia limitandoci a tagliare i tre piani pieni e il piano composta da piccole volute ad "S" aggiunte fra il 1925 e il 1935 e a ricollocare il fastigio dove era prima, possiamo passare a dare una dettagliata descrizione dell'altare, approssimandoci alla realtà del manufatto così come era uscito dalla Bottega dei Piccini da Nona circa tre secoli fa.


L'altare, ossia il parallelepipedo di base, è alto 97 cm, largo 208 e profondo 76. La base, in realtà, non è un vero parallelepipedo, ma ha una vaga forma di "T", dove le estremità della stanghetta orizzontale si innalzano in due ampie volute per lato, fra le quali è una formella con decorazioni a nastro e motivi vegetali di 16,5 x 50 cm, mentre la stanghetta verticale presenta due formelle con testina alata di 50 x 59 cm. I rilievi sono in legno intagliato e dorato, mentre lo sfondo è dipinto in blu aviatore. La "facciata frontale" è decorata con due paraste laterali, che incorniciano lo spazio centrale che ospita il palliotto.
Sulle due paraste vi sono altrettante nicchie, con la parte superiore decorata a conchiglia (motivo tipico barocco) con statue di santo: a sinistra S. Antonio Abate, a destra S. Rocco. Le fattezze delle sculture sono molto fini: gli abiti sono decorati con ricami dipinti in oro e le pieghe delle vesti danno movimento al gruppo, accentuato dalla stessa postura degli arti. Sant'Antonio regge in mano un libro, che tiene verso l'esterno, mentre lo sguardo è all'interno; San Rocco innalza con la destra la tunica sulle gambe, a mostrare le piaghe, mentre il volto guarda verso l'interno. Ai piedi del Confessore di Montpellier vi è anche un cane seduto, cui il tempo a mozzato il capo. Sia S. Rocco sia S. Antonio sono privi di una mano. Tutta la cornice che trattiene il palliotto è intagliata in legno con motivi vegetali intrecciati.
Al di sopra si eleva la maestosa tribuna, scolpita in legno secondo un motivo spesso ricorrente all'epoca: la facciata di palazzo. Su una sorta di zoccolatura intagliata si innesta il corpo centrale dell'edificio, diviso in tre zone: una prominente centrale e due laterali. La geometricità della facciata è interrota dal gioco di curve elaborato dalle colonne tortili (anche qui, tipico elemento barocco), che in coppie adornano il cambiamento di livello in profondità e incorniciano al centro la nicchia del tabernacolo e ai lati due archi a tutto sesto, nei quali sono inserite due statuette di legno. Ai lati della "zona centrale" vi sono due nicchie, nelle quali sono state inserite altrettante statue.
Le quattro sculture rappresentano: la Vergine Immacolata, S. Antonio Abate, un Santo ignoto, S. Giuseppe Sposo. Sul portello del tabernacolo è scolpita una bella deposizione: sullo sfondo la croce, al centro la Vergine riccamente vestita con le braccia aperte e lo sguardo al cielo. Al di sotto il Cristo morto, accasciato e seduto sul sepolcro, è trattenuto per le braccia penzoloni da due piccoli angeli. Sul fastigio vi è il Padre Eterno con le braccia aperte, racchiuso da due mezzi frontoni concavi. La nicchia del tabernacolo è decorata con motivi vegetali dipinti in rosso sulla foglia d'oro.
Al di sopra di questa corpo centrale si ha una piccola balaustra, che protegge un ulteriore allungamento dell'edificio al centro (la tribunetta delle esposizioni) e due semplici cuspidi ai lati, ognuna delle quali, decorata da cherubini, sorregge un angelo col braccio alzato. Il corpo centrale innalzato è inteso come una loggia ed è decorato da tre colonne per lato e un frontone in alto, con l'effigie di un cherubino, che si apre su una larga nicchia destinata ad ospitare l'ostensorio o il crocifisso. Al di sopra una cupola di forma irregolare, attorniata da piccoli globi sorretti dal cornicione, sostiene una piccola lanterna sulla quale è effigiato il Cristo Risorto, con in mano l'emblema della croce.
L'intera architettura si presenta come un complesso, ma raffinato ed equilibrato, gioco di pinnacoli, cuspidi, rilievi intagliati, frontoni, cornicioni, colonne e basi di colonne, ovali, spirali e volute. Sono rari gli spazi lisci, per lo più decorati con motivi vegetali dipinti in rosso e verde. L'idea generale è di grande movimento, di trasporto verso la complessa liturgia cristiana della Controriforma, di esaltazione dei valori quali la gloria di Dio, la Resurrezione, la maestà delle potenze angeliche, la beatitudine dei santi. Il tutto è accentuato dalla foglia d'oro che venne applicata su tutta la struttura.
Ai lati della tribuna, si aggiungano anche due angeli adoranti di grande finezza (uno dei quali recentemente danneggiato in un tentativo di furto). Il fastigio contribuisce a focalizzare l'attenzione sulla parte centrale dell'altare, verso la quale convergono tutte le sculture, il tabernacolo, con un sistema di drappi, nappe e fiocchi intagliati nel legno.
Tutte le sculture sono di eccezionale fattura, a cominciare dai due angeli adoranti alla base della tribuna. Emergono da dense nubi grigie, e hanno una mano sul petto, in atteggiamento mistico, mentre l'altra è aperta, in asse col braccio disteso a semicerchio. Le ali, dorate, sono aperte e danno un tocco di movimento, alleggerito dal fluire delle vesti.
Le piccole statue del corpo centrale, di modeste dimensioni, meritano una breve descrizione.
La Vergine Immacolata, una credenza assai diffusa prima ancora del dogma, dettato da Pio IX nel XIX secolo, poggia i piedi sulla luna, sospesa fra nuvole, e volge le mani giunte in preghiera, mentre il capo, reclinato verso sinistra, sembra guardare alla tribunetta delle esposizioni. Il vestito, riccamente decorato d'oro, è rosso e blu. Anche S. Antonio ha un atteggiamento mistico. Purtroppo una mano è persa per sempre e l'altra è staccata. L'abito, una bella tunica d'oro, è arricchita da una fascia centrale marrone, pure decorata in oro. Il "santo ignoto", un uomo barbuto vestito di rosso e oro, trattiene nelle mani un voluminoso libro e forse si tratta di un evangelista o di un profeta. Il suo braccio sinistro è andato perso. S. Giuseppe è il meglio conservato: coperto di una tunica blu decorata d'oro, ha una mano sul petto e con l'altra regge un bastone con gigli. Il volto, barbuto, è reclinato ad osservare, parallelamente alla Madonna dall'altra parte, la tribunetta delle esposizioni.


Apparso su B.A.S.P. Gennaio/Febbraio e Marzo/Aprile 2004

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