[…] Perché il bene a venire del mondo dipende in parte da azioni di portata non storica; e se le cose, per voi e per me, non vanno così male come sarebbe stato possibile, lo dobbiamo in parte a tutti quelli che vissero con fede una vita nascosta e riposano in tombe che nessuno visita
G. Eliot, Middlemarch

lunedì 8 agosto 2011

Problemi di struttura, datazione e reliquie dell'altare della B. V. del Rosario

In questo studio si cercherà di analizzare alcuni dettagli riguardo all'altare della Madonna del Rosario, facendo particolare attenzione a tre cose: la struttura e le sue modifiche nel corso del tempo, la datazione e le informazioni riguardo alla costruzione e al costo, le reliquie che esso dovrebbe contenere e che generano un piccolo mistero, forse risolto. Innanzitutto, sarà bene dare un breve quadro generale dell'origine di detto altare.


LEGENDA:
1) Gradini in marmo policromo;
2) Dormitio Mariae;
3) Tabernacolo;
4) S. Domenico di Guzman;
5) S. Caterina da Siena;
6) Nicchia della Vergine del Rosario;
7) Misteri del Rosario di Carpinoni;
8) Monogramma di Maria;
9) Angelo con luna;
10) Angelo con sole.

La Chiesa Parrocchiale di Piario risulta fornita di più di un altare già a partire dalle più antiche cronache delle Visite Pastorali, i primi (e quasi gli unici) documenti a parlarci di ciò. Nel 1520 vengono citate le Scuole della Madonna e di San Cristoforo, per cui supponiamo vi fossero degli altari cui esse facevano riferimento. La conferma viene nel 1575, con la chiara relazione della visita del delegato del Card. Borromeo: "Vi sono quattro altari". Quali siano, non viene specificato. Oltre al Maggiore, a quello della Madonna e a quello di San Cristoforo (detto anche "de defonti del Purgatorio" nel XVII secolo) doveva essercene un'altro, probabilmente della Madonna e di S. Giuseppe insieme. Nella relazione dell'anno 1590, visita di Mons. Regazzoni, si parla distintamente di una scuola di S. Cristoforo, di una scuola della Madonna e di San Giuseppe e di una scuola della Beata Maria Vergine. Inutile dirlo, il quarto altare è quello Maggiore, la cui scuola – detta del Santissimo Sacramento – viene fondata tra il 1590 e il 1594. Nel 1624, in occasione della visita di Mons. Federico Cornelio, si specifica che "in questa chiesa sono quattro altari uno dei quali non ha la pietra sacrata". Poiché più avanti si parla delle pietre sacre degli altari di San Giuseppe, di San Cristoforo e di quello Maggiore, ne risulta che l'altare sprovvistone è proprio quello della Madonna. In questo stesso anno compare la scuola del SS. Rosario, evidentemente affiliata al suddetto altare. È il germe della modifica nella dedicazione dell'altare, o meglio, della sua specificazione. Se prima esso era solo della Beata Vergine Maria, in generale, ora venera la Madre di Dio come protettrice della flotta cristiana contro i Turchi. Dopotutto, la battaglia di Lepanto – per propiziare la vittoria nella quale, si ricorderà, papa Pio V istituì la pia pratica del Rosario – era avvenuta solo cinquantatré anni prima (1571). Già, dunque, si diffondeva il culto della Beata Vergine del Rosario. Nella visita successiva, effettuata dal vescovo Grimani nel 1649, il passo è compiuto: "Visitavit altare B. M. V. Rosarii quod est portatile" ("Visitò l'altare della B. V. M. del Rosario, che è portatile"). Nella visita del 1700, effettuata da Mons. Luigi Ruzzini, la Scuola del SS. Rosario si è dotata di una bolla, appesa nei pressi della stessa cappella. Gli altri documenti, per ora, non ci dicono nulla di più, se non che la scuola ebbe grande successo, dato che ancora viene rilevata nella Visita di Mons. P. L. Speranza del 1864.
L'altare della Madonna, poi della Madonna del Rosario, aveva dunque origini molto antiche, ma è solo tra il 1774 e il 1775 che venne costruito nelle forme attuali.
Prima di consultare i documenti scoperti riguardanti l'edificazione dell'altare, assai numerosi, vale la pena darne una descrizione, utile anche per chi non l'ha mai visto, aiutandoci dalla riproduzione fotografica a pagina seguente.
Esso è collocato nella seconda campata a cornu epistulae (a destra per chi entra dal fondo), in un'apposita cappella costruita, con tutta probabilità, nei restauri del 1754 di cui si parlerà fra poco. La struttura è totalmente in legno, fatta esclusione dei due eleganti gradini intarsiati in marmo policromo, a motivi di piccoli cerchi, rombi e mezzi rombi, che comunque non vennero realizzati dalla bottega Fantoni, come precisa il contratto.
L'altare vero e proprio misura 0,77 m di profondità, è alto 1,88 m ed è largo 2,40 m; l'ancona che lo sovrasta, a pari profondità, misura 3,40 m di larghezza e ben 4 m di altezza. L'insieme è alto dunque 5,88 m.


Nella nicchia sotto la mensa è collocata una statua raffigurante la cosiddetta Dormitio Virginis o Beatissimo Transito di Maria, ossia il momento del trapasso della Madonna. La Vergine, adornata del tipico manto rosso scuro e azzurro, probabilmente non originale, dato che il contratto prevedeva una decorazione pittorica a finto marmo, è raffigurata nella posa tipica dell'estasi: le braccia incrociate sul grembo, le dita della mano aperte in tensione, il capo reclinato verso destra e verso l'alto, adagiato su di un morbido cuscino blu scuro decorato a motivi floreali dorati e incorniciato dal velo, i piedi lasciati scoperti dalla veste e abbandonati dolcemente. Un lenzuolo bianco copre il cuscino e accoglie in morbide pieghettature il corpo senza vita della Madonna.
Fissati nella parte superiore della nicchia vi sono quattro testine di angioletti: una coppia centrale e due singoli ai lati. Sono scolpiti in legno, dipinti e dorati nelle ali. L'esterno della nicchia è dipinto in finto marmo color verde chiaro: vi è una cornice dorata e due piccoli riquadri, anch'essi incorniciati d'oro, con altro marmo dipinto. I lati della mensa sono decorati da due ampie volute dorate, motivo tipico dello stile barocco-rococò. Al di sopra della nicchia, come a collegarla con il piano della mensa, vi è un'altra voluta centrale decorata a foglie d'acanto.
Al di sopra di questo gruppo statuario, che un tempo veniva coperto da un velo e scoperto solo nelle festività comandate, compare il piano della mensa, oggi ridotto a seguito dei restauri del 1975 e secondo i canoni del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il tabernacolo è molto semplice, anch'esso dipinto a marmi verdi bicolori, con dorature sulla cornice dello sportello, è a forma di piccolo tempietto, con due lesene corinzie e una facciata centrale ad arco a tutto sesto. Ai lati del tabernacolo si sviluppano paralleli tre piani, anch'essi decorati con nicchie in finto marmo, dorature e volute.
Al di sopra di questo livello si sviluppa l'ancona, molto ricca di decorazioni, secondo l'uso dell'epoca. Si erge dunque un largo piano dipinto in marmo verde scuro, costruito con vari giochi di livelli, sporgenze e concavità. Qui poggiano due alte colonne dipinte in marmo rosso scuro, rigonfie al centro, con capitelli corinzi dorati e che incorniciano la nicchia centrale della Madonna del Rosario, oggi occupata dalla statua lignea coeva all'altare (sec. XVIII), ma non eseguita dai Fantoni. È proprio intorno alla nicchia centrale che si sviluppa un concentrico gioco di livelli: prima una cornice in legno dorato, poi, alla base, due testine di angioletti bianchi, al di sotto di una piccola cornice verde chiaro, poi tutta la serie dei deliziosi quadretti, realizzati a olio su rame da Domenico Carpinoni e risalenti alla prima metà del XVII secolo, su di un piano verde scuro e poi ancora una fascia verde chiaro. Ai lati, come abbiamo visto, le due colonne, che introducono un colore, il rosso scuro, al di sotto di questo livello usato sporadicamente per piccole decorazioni a nicchia. Ai lati di dette colonne, due statue dell'altezza di 1,20 m richiamano il colore bianco degli angioletti centrali: a destra è Santa Caterina da Siena e a sinistra S. Domenico di Guzman. La Santa rappresenta la versione in piedi dell'estasi ben raffigurata nella Dormitio Virginis: il capo rivolto in alto, la bocca socchiusa, una mano aperta sul cuore, l'altra abbandonata lungo il fianco, una leggera piega nel corpo, il fluire carezzevole delle vesti monacali. Di tutt'altro stampo la scultura di S. Domenico: prima di tutto la postura volitiva, con le gambe bilanciate in un gioco di linee oblique, poi il braccio destro alzato, con l'indice ammonitore, il braccio sinistro afferra un voluminoso libro – forse le sue prediche , forse le SS. Scritture.

È normale, dunque, che le vesti seguano il moto spinto del corpo in linee ora vorticose ora rigide, ma non fluttuanti come le vesti di Santa Caterina. Il volto è deciso e severo e ha lo sguardo sul visitatore, posto circa due metri più in basso. Santa Caterina e San Domenico qui riprendono, a mio avviso, il modello del dipinto di Raffaello nelle stanze del Vaticano: là Aristotele con il dito verso il basso, indica le cose terrene e Platone, con il braccio proteso verso l'alto, indica il mondo delle idee, qui la mistica Caterina guarda a Dio, il predicatore Domenico si rivolge agli uomini. In questa breve descrizione si può ben vedere la maestria dello scultore nel rappresentare queste due concezioni della santità, una rivolta a Dio e l'altra agli uomini.
Le colonne, che si slanciano verso l'alto, sorreggono due semi architravi dipinti in verde chiaro e rosso, che a loro volta portano un timpano curvilineo spezzato. A questo punto l'architettura, idealmente slanciata verso il Cielo, perde consistenza e si confonde con lo sfondo di marmo dipinto verde scuro. Al centro appare una rosa di angeli bianchi avvolti in dense nuvole che racchiudono il monogramma di Maria. Al di sopra, una sorta di arco e un elemento architettonico che emerge a malapena dallo sfondo dello stesso colore. Esso reca una tarsia dipinta in marmo rosso e una cornice verde chiaro e dorata. Ai lati, posti a sedere sopra le due metà del timpano spezzato, altrettanti angeli di grosse dimensioni, raffigurati, a differenza di tutti i precedenti, a corpo intero, recano due simboli molto eloquenti: quello di destra il sole e il compagno di sinistra la luna.

Un breve parentesi meritano i piccoli (misurano 25,5 x 18 cm) quadretti realizzati nel secondo quarto del XVII secolo (1625 – 1649) da Domenico Carpinoni: essi sono dipinti ad olio su rame e sono molto raffinati. Dello stesso pittore clusonese, o della sua bottega, la nostra Parrocchiale conserva anche la Pala del Suffragio, un olio su tela un tempo pala dell'altare di San Cristoforo (se ne è parlato all'inizio).

Come abbiamo detto, l'altare è opera di Grazioso Fantoni il Giovane ed è datato 1774-5. La notizia ci è riportata dai documenti dall'Archivio della "Fondazione Fantoni" di Rovetta, che ho potuto agevolmente consultare grazie alla completa disponibilità del conservatore e dei custodi. Se l'Archivio Fantoni ci restituisce numerosi e importanti documenti sull'edificazione dell'altare, i registri di conto della Vicinia di Piario, dalla parte opposta, non ci riportano alcuna informazione riguardo al costo, né ci confermano la data e l'autore. Non sono segnati nemmeno i pagamenti, che pure sappiamo essere avvenuti in date precise e in somme quantificate dai documenti di Rovetta. Tale clamorosa lacuna è inspiegabile se non si ammette che la spesa venne sostenuta da altri che la Vicinia, forse il parroco stesso in forma privata (ma non si spiegherebbe la presenza di deputati eletti dalla Vicinia) o la Confraternita del Rosario, pure esistente e con propri redditi e amministratori. In questo caso, la spesa fu certamente annotata nel registro dei conti, che però, se mai ve ne fu uno, non ci è pervenuto.
Due documenti dell'Archivio di Piario, tuttavia, ci danno qualche preziosa informazione. Il primo, un registro di conti della Vicinia (R-15), è un verbale di riunione in cui si decise un ulteriore restauro della Chiesa (dopo quello del 1671). Recita: "Adi 3 marzo 1754. Memoria come la visinia di piario a proposto di restorar il coro et anco la chiesa et a proposto dilegare il Sg. Curato et giacomo q. giovanni legrenzi et giovanmaria q. pilippo legrenzi balotati, in detta visinia di atendere et far quello ocorre per linteresse di questa fabrica della chiesa et sono balotati con bali n. 30 a voti sureti favorevoli 26 che afermano di sì n. 4 contra et ano anco di fare di novo la capela della Beata vergine et anno comandato visinia sotto a questo ordine et sono dispinsato bali n. 28 a voti sureti anca riscos 27 di si et una contra et a questo resta a con questo patto che resta primo il S.g Curato ali altri due deputati come sopra anco per la capela". Nel 1754 il consiglio dei capi di famiglia delibera, dunque, di rifare totalmente ("fare di novo") la Cappella della Madonna del Rosario e incaricano all'uopo il Curato, don Bernardo Speranza, e tali Giacomo di Giovanni Legrenzi e Giovanmaria di Filippo Legrenzi. Il primo si sarà senza dubbio impegnato nei passi burocratici da compiersi verso l'erezione di una nuova cappella, mentre dei secondi non resta traccia nelle successive tappe.
In un registro dal titolo "Istromenti di Santa Croce, Sante Reliquie, Via Crucis" (R-1), che riporta rilegati in epoca successiva alcune carte del Cinquecento, del Settecento e dell'Ottocento, si trova un foglio protocollo che sul retro reca scritto "Licenze per la chiesa ed altari": è il secondo documento che ci aiuta nella nostra ricostruzione. Vi si legge: "Vicarius G(enera)lis Ep(iscop)alis. Constito Nobis, quod altare nuperum erectum sub invocatione B(eatissi)mae Virginis Mariae de Rosario in Parochiali de Piario huius Nostrae Bergomen(sis) Dioecesis constructum fit iuxta sacras constitutiones licentiam concedimus sacrum faciendi. inq[…]. Datum Bergomi ex Ep(iscop)ali Pal(ati)o die ii Xbris 1755. C(anonicus) […] Vic. […]. Io(hannes) Bapt(ista) Recuperati Ca(ncel)la(rius) Ep(iscopa)lis". Ed ecco la traduzione: "Il Vicario Generale Episcopale. Viene da Noi stabilito che un nuovo altare innalzato sotto l'invocazione della Beatissima Vergine Maria del Rosario nella Parrocchiale di Piario di questa Nostra Bergomense Diocesi sia costruito secondo le sacre costituzioni e concediamo licenza di celebrare nello stesso luogo. […]. Dato a Bergamo dal Palazzo Vescovile il giorno 2 Dicembre 1755. Canonico […] Vicario […]. Giovanni Battista Recuperati Cancelliere Episcopale". Dunque, la licenza per il rifacimento del cinquecentesco (o forse più antico) altare della Madonna viene rilasciata già nel 1755 e il nuovo altare ha la definitiva titolatura alla Beata Vergine del Rosario.
Per quanto riguarda l'Archivio Parrocchiale, esso non ci fornisce ulteriori informazioni risalenti a quell'epoca. Nell'Archivio di Rovetta, invece, ricche sono le pagine che ci informano minuziosamente sulle modalità di esecuzione e sulla subappaltazione dei lavori. Il documento fondamentale, ovviamente, è il contratto. Stranamente, il foglio protocollo non è datato. La grafia, molto chiara, è riconducibile a Grazioso Fantoni stesso, mentre le firme dei contraenti ci riportano alcuni nomi noti e altri no: don Bernardo Speranza era il curato ed il primo per importanza fra le persone deputate a curare i restauri. Degli altri deputati, invece, nessuna traccia, dacché vengono menzionati un deputato Daniel Giudici e un testimone Giovan Maria di Donato Legrenzi. Del primo alcuni documenti ci informano che ebbe diversi ruoli pubblici nella Comunità di Piario, fra cui quello di amministratore della Vicinia. È ancora necessario sottolineare la stranezza della mancanza nei nostri registri delle note di pagamento; è assai sospetta, inoltre, la mancanza della registrazione delle spese per gli annessi dichiarati nel contratto (calce, legname per i ponteggi, elementi metallici, trasporto). Leggiamo.
"Capitoli da osservarsi nella costruzione dell'altare di legno della Madonna del Rosario di Piario
1°. Che l'altare, et ancona sia giusta il dissegno fatto a chiar'oscuro in carta, che per segno d'approvazione sarà da Sig.ri Deputati sott(oscritt)o di proprio pugno sia dico l'opera onninamente secondo il dissegno tanto per la misura quanto per l'idea, e che sii di legno tinto di marmo, o marmorizzato, a riserva però della menza quale sarà di Pietra, con la cornice che gli gira attorno di giallo di Verona, del qual marmo lustro sarà la base della menza med(esi)ma e li pilastrini del Parapetto saranno di marmo carrara con lo specchio in mezzo di verde verallo, et il tutto sarà ben lustro, in mezzo poi a detti pilastrini cascarà un'ornatino a fogliami che dovrà essere di legno dorato; il tutto confrome il dissegno. Quall'aggionta di marmo s'intende non sii ne più, ne meno di quanto si è detto, onde finita la menza di marmo ripiglierà la cornice di legno marmorizzata, come pure la base e tutto il restante che tutto sarà di legno.
2°. Li scalini della Bradella [predella] restano esclusi dal dissegno non che dall'accordio
3°. La menza restare vuota al di sotto, e formerà nichia aperta ne tre lati, per ponervi di sotto una statua della B(eata) V(ergine) distesa sopra cuscini, qual statua di tutto rilievo, et isolata si dovra fare di legno marmorizzata. Di legno pure saranno le testine di Cherubino che svolazzeranno sopra questa statua, e sosterranno un Drappo che formerà come un Padiglione alla sud(dett)a Statua, quali testine dovranno farsi di legno marmorizzato, restando a spese de Sig.ri Deputati il drappo che quello non entra nell'accordio
4°. Oltre l'esser tutta quest'opera marmorizzata, si rimettono li Sig.ri Deputati alla cognizione dell'artefice nel distribuir li colori, e le qualità delle macchie de spechj e colonne, restando bensi fissata la doratura, ne capitelli, e basi si delle colonne come lesene, quali tutti saranno dorati in quelle sole vedute però, che vengono avanti alla vista, mentre dove non arriva l'ochjo a vedere è cosa superflua a dorare; dorate saranno pure le cascate a fogliami in cima affatto all'ancona, come pure li Giglj, e nastro che li liga nell'ultimo riquadro in cima l'ancona med(esi)ma, così pure dorati saranno i raggi attorno il nome di Maria, e le rose sopraposte a questi, medemamente dorate saranno le cornici dintorno alli misterj, con la cornice del [.]alaro della nichia della Madonna, il fogliame sotto a questa; quelle picciole fogliette a basso rilievo nel cornicione che sostenta tutta l'ancona, queste ancora saranno dorate. Li ornatini della Custodia; scartozzi ne scolini da candeglieri, le volute ne fianchi, solo però nella facciata di tutti li Moriani, saranno dorati
5°. Tutte le statue che saranno cinque indicate come il dissegno saranno tinte di marmo così pure le teste di Cherubino tanto del Parapetto che della Gloria in cima, marmorizzate
6°. Che il già detto altare sii messo in'opera in mezzo la Capella a piacere de Sig.ri Deputati, ma l'ancona si dovrà attaccare al muro della capella med(esi)ma restando però a spesa dei Sig.ri Deputati la nichia in mezzo, et anco la statua che resta fuori dal contratto, a loro spese saranno pure li polici, o lame per la med(esi)ma nichia, e serrature, e chiavi
7°. A spese pure dei Sig.ri Deputati saranno li materiali di ferramenta, per attaccar, e metter'in'opera, legni per far i Ponti, calcina, muratori per far il Parapetto Murato, et altro che suol occorrere a metter'in'opera.
8°. Carico, e spesa sara de Sig.ri Deputati far trasportare da Rovetta al luogo dove dovra esser messo in opera l'altare sud(dett)o tanto quello di legnio come pure l'aggionta della menza di marmo
Daniel […] Giudice affermo e prometto come sopra come deputato
Bonifazio Speranza afermo è prometto come sopra deputato
Io Gio. Piantoni di Scalve fui presente per testimonio
Io Giovan Maria figlio di Donato Legrenzi di Piario fui presente per testimonio" (Piro 4, 714).
Un secondo documento, di minori dimensioni, rappresenta la chiusura del contratto: i deputati piariesi verificano l'adempimento delle clausole da parte dello scultore e pagano il dovuto, dichiarandosi "pienamente contenti":
"1775 – 20 Ottobre Piario
Compita [compiuta] dal Sig. Grazioso Fantoni di Rovetta l'opera di un altare, ed ancona nella capella della B(eata) V(ergine) di questa Cura, ben osservata da noi sottoscritti deputati da questa vicinia a tale opera la riconosciamo ed affermiamo fatta in tutto, e per tutto secondo abbiamo commesso [commissionato], e si assonse di fare esso Sig. Fantoni, cosi che siamo pienamente contenti.
Io Carlo q. Pietro Perolini affermo ed aprovo come eletto dal sudetto Sig. Fantoni, che il sudetto Altare si è osservato con il dicego [disegno?] non si trova erore alchuo [alcuno].
Cerha la rimessa come si vede dalla scritura del contratto del Altare si rimette di soppra delle lire £ 3000 a noi alb[.]iti il Sig. Giacomo Giudici, e Carlo Perolini si è considerato in lire 100 e vinte cinque dico £ 125
Io Giacomo q. Bortolo Giudise ho terminato come sopra a nome delli deputati dalla Visinia d Piario
Io Bonifazio Speranza deputato affermo come sopra
Io Daniel anco. Giudici deputato affirmo come sopra" (Piro 6, 715).
Commissionato nel 1774, come testimoniano le carte seguenti, l'opera venne conclusa alla fine del 1775 e pagata nello stesso anno. Una seconda rata, di £ 281, verrà saldata solo il 17 gennaio 1784, come testimonia un'annotazione sul libro mastro di Grazioso Fantoni ("1784. Da Piario per l'altare del Rosario £ 281,00"; LF 26).
Non è difficile dimostrare che l'altare venne commissionato solo nel 1774, pur avendo avuto la licenza nel 1755. Un breve elenco di alcune opere eseguite da Grazioso Fantoni dopo il 1770, cioè dopo la divisione della bottega Fantoni fra lui e Francesco Donato, recita: "Opere in scoltura fatte da Grazioso doppo le divisioni fatte nel 1770 non notate quelle in quadratura di marmo. […] Altare della Madonna in Piario Parapetto di marmo il resto ed ancona marmorizzato £ 2400" (LF 32, 19 recto). I primi pagamenti, inoltre, avvennero solo nel corso del 1774: "21 giugno <1774> ricevo come sopra e questi venuti à conto del Altare di marmo di Piario sua metà £ 51:5; […] Ricevo come sopra £ 31:8; 29 agosto ricevo come sopra £ 30" (LF 52).


Le altre carte rinvenute nell'Archivio Fantoni ci danno maggiori delucidazioni sulle fasi della costruzione dell'altare: la parte marmorea della mensa venne eseguita da Francesco Donato Fantoni, la doratura delle parti concordate venne affidata ad Ignazio Trussardi di Clusone, il resto venne eseguito nella bottega di Grazioso Fantoni. Interessante notare che Ignazio Trussardi "detto l'indoratore" venderà alla Chiesa di Piario, nel 1781, la mensa e la tribuna dell'altare maggiore, opera assai più antica (1690 – 1710) della scuola dei Piccini da Nona.
Vediamo in particolare il contratto sottoscritto da Grazioso Fantoni e Ignazio Trussardi, non datato, ma risalente alla prima metà del 1775: in calce vi sono infatti delle annotazioni di pagamento risalenti al 28 luglio e al 2 agosto di quell'anno. Dunque: siglato il contratto con quelli di Piario verso l'inizio del 1774, l'altare venne realizzato nel giro di un anno, dopodiché affidato all'indoratore Trussardi per occuparsi dell'applicazione della foglia d'oro, lavoro finito a metà dell'estate del 1775. Il tempo di fare le ultime rifiniture e l'altare venne consegnato alla Chiesa di Piario nell'ottobre di quello stesso anno.
"Memoria dell'accordio fatto col Sig. Ignazio Trussardi di Clusone Doratore di dorare tutti li capitelli, e basi ornati, fogliami et altri ornamenti che sono sopra l'anconetta et Altare della B V del Rosario di Piario come bene siamo intesi il tutto darlo perfettamente dorato a oro di zecchino e questo per il prezzo di lire cento sessanta dico £ 160.
In fede Grazioso Fantoni accetto
Io afermo come sopra Io Ignazzio Trusardi Indoratore Clusone" (Piro 5, 715).
Gli ultimi documenti al riguardo sono le note registrate da Francesco Donato nel suo libro mastro: su di una pagina il promemoria dei crediti contratti nei confronti di Grazioso, nella pagina accanto l'annotazione dei pagamenti. I crediti: "10 marzo 1774 il Sig. Gratioso Fantoni deve dare per fattoli i capitelli del Ancona di Piaro dacordo in £ 80. 26 aprile 1775 il sud(dett)o deve dare per l'acordio fatto a marmorizarli L'Ancona sud(dett)a £ 215; di più deve dare per il parapetto di marmo fatto sotto d(ett)a Ancona di Piaro mia metà parte £ 150: £ 445. Perbenito al contrascrito per avermi dato di più - £ 14.16: £ 459.16". I pagamenti: "Adi 10 marzo 1774 il Controscrito Sig. Gratioso mi conta a conto delli capitelli £ 60. 8 maggio 1775 ricevo dal sud(detto) a conto dell'Ancona £ 120.
21 giugno ricevo dal sud(dett)o a conto del Parapetto di marmo per averli notati al libro a mio credito del maneggio del lavoriero di marmo £ 51.5. 20. No(vem)b(re) 1776 ricevo dal Sig. Gratioso a conto come sopra del parapetto di marmo di Piaro compenso £ 19,10 per vino e vicena (?) mandata a Bergamo et anche un poco di fioretto (?) £ 50. 4 febrario 1777 ricevo dal Sig. Gratioso Fantoni una armetta val £ 55,10. 24 marzo 1777 ricevo dal sud(dett)o £ 133.1: [totale] £ 459.16" (LF 23).
Fino a qui per quanto riguarda la costruzione dell'altare e il suo pagamento. Ma la sua secolare storia è appena iniziata. Sappiamo che l'altare ha subito pesanti modifiche nel corso del tempo, a volte anche dannose. Basta consultare una vecchia fotografia (risalente, indefinitamente, a prima dei restauri del 1975) per notare i cambiamenti che hanno investito l'intera cappella: sono state abbattute le due balaustre che circoscrivevano l'ingresso (ma che non erano originali), è stata eliminata la lampada centrale che scendeva dal soffitto, sono stati levati i veli di raso che coprivano sia la Dormitio sia la statua della Madonna del Rosario ed è stata rimossa la pesante cornice in legno intagliato e dorato (della seconda metà dell'Ottocento, delle dimensioni di 1,25 x 0,74 m) che conteneva una litografia del Sacro Cuore di Maria e che era posizionata al di sopra del monogramma di Maria in cima all'altare. Altri interventi sono stati effettuati con il decadimento del culto (sostituzione degli antichi candelieri in bronzo del XVIII secolo, eliminazione delle carteglorie e dei portapalme). Ma l'intervento più grande, e dannoso, avvenne nel 1975, con il generale rifacimento della cappella.
Leggiamo nel Chronicon: "24 giugno 1975, all'altare della Madonna. Oggi il Sig. Sisto Capitanio, intagliatore di Bergamo ha prelevato e portato a Bergamo per il restauro i tre gradini lignei dell'altare della Madonna, che ne costituivano la parte terminale e due statue lignee, S. Caterina da Siena e S. Domenico, di squisita fattura fantoniana. Cominciano così i lavori di restauro della Cappella della B. V. Maria. 30 giugno/5 luglio 1975, altare della Madonna. La ditta Luigi Moioli ha demolito la parte in muratura e marmo dell'altare della Madonna. La parte marmorea, gradini, predella ecc. è stata prelevata da Paganessi di Vertova e portata in cantiere per il restauro. Sono stati fatti scavi sotto il pavimento attuale ed è stato ricavato un vespaio di aerazione. I disegni sono dell'Arch. Vico Brembilla di Ponte S. Pietro". E poi ancora: "Nel mese di settembre è stato collocato il pavimento in marmo di Verona alla cappella della Madonna, i gradini, pure in marmo, gli stessi che erano precedentemente, opportunamente levigati. 27 settembre 1975, Riposto altare della Madonna. Ieri sera, 26, abbiamo prelevato a Stezzano, l'altare della Madonna. Stamane abbiamo riportato i gradini che stanno sopra. In giornata il sig. Sisto Capitanio con il figlio Angelo hanno lavorato alla collocazione. Il pittore Gritti ha marmorizzato le due colonne e ha ripulito la statua della Madonna morta. 29 settembre 1975. Angelo Capitanio lavora alla doratura dell'Altare della Madonna". Qualche pagina più avanti, nel resoconto dei generali restauri della Chiesa: "Altare e Cappella della Madonna. I restauri hanno abolito un pulpito in legno, non particolarmente pregevole, che era al posto dell'attuale quadro del Carpinoni. Sono state asportate le balaustre in granito di cemento, che chiudevano la Cappella della Madonna. Nessun pregio. Il pavimento in graniglia non era brutto, ma l'umidità l'aveva devastato e i vuoti erano stati colmati malamente con malta di cemento. L'altare è stato addossato al muro. Precedentemente c'era una mensa in marmo giallo, sostenuta da due colonnette in marmo mentre dietro c'era un lavoro in muratura. Era spostato di circa 80 cm dal muro di fondo. L'ancona era così sospesa. Addossato al fondo l'altare presenta, oggi, un complesso più logico e unitario. Può darsi che qualcuno la pensi diversamente ed è, naturalmente, libero di farlo".
L'Archivio ci ha anche restituito la cartelletta con gli schizzi e i progetti eseguiti dal parroco d. Morandi per la sistemazione dell'altare. Sebbene le notizie fornite siano dettagliate, manca una cosa davvero importante: che fine ha fatto la parte marmorea originale, così minuziosamente descritta nel contratto del Fantoni? Sparita. E che fine ha fatto l'annessa pietra sacra? Al momento attuale, data la conformazione dell'altare - privo com'è del piano della mensa – di certo non è in sede. Eppure detta pietra sacra c'era, perché è sempre l'Archivio Parrocchiale a informarci della sua presenza: il 18 gennaio 1936 fu il Vescovo di Bergamo Mons. Adriano Bernareggi a murarvi le reliquie dei Santi Martiri Pio ed Alessandro. Nella "Ephemeris Sacra Missarum" leggiamo: "Die 18 – Sabbato. Festum Sancti Antonii Ab(batis) Patroni ac Solemnis Consecratio Altaris B(eatae) Mariae Virgini{s} dicati ab Exc(ellentissimo) Ill(ustrissimo) Episcopo Bernareggi Adriano peracta", ("Il giorno 18 [del mese di gennaio dell'anno 1936] – Sabato. Festa di Sant'Antonio Abate Patrono e Solenne Consacrazione dell'Altare dedicato alla Beata Maria Vergine eseguita dall'Eccellentissimo ed Illustrissimo Vescovo Adriano Bernareggi"). E dove sono ora queste reliquie?
Durante una "ispezione" alla sagrestia della chiesa campestre di San Rocco, insieme ad altri grossi blocchi di pietra che giacciono nei pressi della fontana-lavandino della sagrestia, ho rinvenuto una pietra sacra, delle dimensioni di 40 x 31 cm, dello spessore di 3,5 cm ancora sigillata. È realizzata in pietra bianca e ai quattro angoli presenta incise altrettante croci greche. Al centro presenta una nicchia quadrata delle dimensioni di 7 cm di lato, profonda 2,3 cm, sigillata con del gesso tramite una piccola lastra di pietra nera dello spessore di 0,6 cm. Su questa piccola copertura campeggia un'altra croce, così come sul fondo della nicchia, e a rilievo il numero "30", ripetuto in uguali dimensioni sulla lastra bianca appena al di sotto. Una volta cautamente dissigillata dal gesso, la nicchia ha rivelato due piccoli involti ingialliti dal tempo, di forma rettangolare, sigillati con del filo rosso e una colata di ceralacca talmente piccola da non consentire la lettura di alcuno stemma. Due reliquie, quindi. Ma di chi?

Potrebbero essere dell'altare di San Rocco. Prima dell'attuale altare comunitario sappiamo esisteva un altare maggiore in marmo policromo del XVIII secolo, i cui unici resti sono il gradino dell'altare attuale e il tabernacolo (un piccolo capolavoro, purtroppo abbandonato in sagrestia). In sagrestia, dopotutto, sono conservate anche grosse lastre di pietra scura e fra queste è stata rinvenuta la pietra sacra di cui sopra. Tutto farebbe supporre che la pietra sacra appartenesse al disperso altare di San Rocco. Eppure non ci è giunta notizia di alcuna sua consacrazione, né in tempi antichi (a partire dal 1575, quando fu ri-fondata) né, tantomeno, in tempi recenti. E desterebbe davvero grande stupore il saperlo consacrato nell'antichità, quando né l'altare maggiore né la cappella del Rosario nella Chiesa madre lo furono prima, rispettivamente, del 1926 (si legge sulla vachetta delle messe: "Die 3, Dominica intra Circumc(isionem) et Epiphaniam – Solemnis Consecratio Arae Maioris per manus D.D. Aloisii Mariae Marelli Episcopi Berg(omensis)") e del 1936, date davvero recentissime. Resta il fatto che il nuovo altare di San Rocco, edificato nel luglio 1976 utilizzando pilastri in arenaria della Villa Sorgente di Groppino, non incorpora una pietra sacra, se mai avesse dovuto incorporarne una appartenente all'altare primevo.
Potrebbe essere dell'altare della Madonna del Rosario. Ne avrebbe tutti i diritti, se non fosse il fatto che non si spiega il suo spostamento fino a San Rocco, per giacere abbandonata fra altri detriti.
In genere non si spiega il mancato utilizzo della pietra sacra, da qualunque parte essa provenga. Se fosse stato dell'antico altare di San Rocco, perché non inglobarla nel nuovo altare? Se fosse stato dell'altare della Madonna (restaurato giusto l'anno prima), perché non riutilizzarla nell'altare di San Rocco, evidentemente sprovvistone? Purtroppo il Chronicon, sempre così dettagliato, riporta la narrazione dei lavori alla Chiesa di San Rocco, parla dell'altare, ma non ci dà ulteriori delucidazioni di sorta e l'unico testimone diretto dei fatti, d. Morandi, non è più fra noi.
Altre complicazioni sorgono alla vista, in detta sagrestia, di un paliotto portatile in legno, evidentemente appartenente ad un altare ottocentesco: quale? Per di più, la lista delle reliquie possedute dalla Parrocchia, consistente nelle varie autentiche, ci nomina alcune reliquie - quelle di Pio e di Bonifacio martiri - che al momento non si trovano. Fatto salvo per S. Pio, forse murato ora con Alessandro (1936) ora con Fausto (1926) nell'altare della Madonna e in quello Maggiore, dov'è finito S. Bonifacio? Era incluso in un altare? Da solo?
Insomma, per ora ci sono troppi altari e poche reliquie per esservi custodite, e troppi santi, ma pochi resti per esser loro attribuiti. Ulteriori ricerche, forse, faranno maggiore luce.
A mio avviso, per giungere ad una prudente conclusione, la pietra sacra di San Rocco venne lì portata dall'altare della Madonna con il pensiero, poi chissà perché abbandonato, di riutilizzarla. Sembra davvero strano, però, che d. Morandi abbia permesso la dispersione di reliquie così preziose. Ma sembra ancora più strano che un terzo altare (di S. Rocco?), oltre al Maggiore e a quello della Madonna, fosse consacrato e custodisse non già terra benedetta, ma addirittura due reliquie sigillate. Forse, ma appare meno probabile, l'altare della Madonna era stato già ritoccato in precedenza (tra il 1936 e il 1975), e la pietra sacra asportata e condotta a San Rocco. Al momento dei restauri del 1975, dunque, essa non c'era già più. Ma a San Rocco nessuno sapeva più che farsene.

SI RINGRAZIA SENTITAMENTE IL PERSONALE E IL CONSERVATORE DELLA FONDAZIONE FANTONI DI ROVETTA, SOLLECITI CUSTODI DELLA CASA FANTONI, DEI SUOI TESORI E DEL SUO ENORME ARCHIVIO, CHE HANNO PERMESSO LA RAPIDA CONSULTAZIONE E RIPRODUZIONE DELLE CARTE PER REALIZZARE QUESTA RICERCA.

Apparso su B.A.S.P. Settembre/Ottobre 2003 e Novembre/Dicembre 2003

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